


A
cura del Ch.mo Professore
Conte Palatino Dom Salvatore Fini
Rettore Magnifico dell’Accademia Internazionale di Svevia
Preside Emerito dei Licei di Stato di Verona
Grande Elettore di Giustizia
(Cavaliere di Gran Croce di Giustizia)
Verona, 30 giugno 2004
I
percorsi delle Dinastie e delle grandi Casate che hanno lasciato nelle
memorie storiche tracce, pur varie per durata e profondità, possono
ben paragonarsi a quelli dei fiumi. Ci sono corsi ampi e fondi, che
solcano, ora lenti e solenni ora veloci e fragorosi attraverso rapide
e salti impetuosi, immense e distese terrestri e tagliano e lambiscono
stati e popoli molteplici e diversi, fino a quando, al termine d’un
lunghissimo andare, s’immergono e scompaiono del tutto nel vastissimo
oceano. Ce ne sono invece altri che, pur di vasta portata e poderosi
al pari dei precedenti, rallentano dopo breve o medio tratto per ostacoli
insormontabili, e rimpiccioliscono, disperdendosi in mille rivoli, laghetti
e paludi. Ce ne sono infine di oltremodo mirabili, che per vastità idrogeologica
sembrano lembi di mare, a questo sfuggiti per invadere in lungo ed in
largo valli sterminate, sfoggianti vedute di grande bellezza e splendore.
Tutto in esse sorprende e si lascia ammirare: tratti e scorci oltremodo
pittoreschi, spiagge e seni verdeggianti, sui quali s’adagiano paesaggi
splendidi e vari, orridi incantevoli solcati profondi incavi rocciosi,
caverne che sembrano scrigni che custodiscono miracoli d’una natura
affatto capricciosa, sporgenze rupestri cosparse di ville stupende,
emergenti tra grappoli di nitidi e variopinti villaggi e spesso contornati
o a ridosso di vaste ed opulente metropoli dalle acque punteggiate da
diverso naviglio e già pulsanti di fervida vita operosa. Ma poi, ad
un tratto, dopo lungo o breve percorso, il maestoso nastro di acque
punteggiate da diverso naviglio e già pulsanti di fervida vita operosa.
Ma poi, ad un tratto, dopo lungo o breve percorso, il maestoso nastro
di acque scompare negli abissi della madre terra, nelle cui viscere
misteriose continua, per rivi nascosti, quel che aveva fatto, alla luce
del sole: un possente e glorioso tragitto.
Da tal ultimo meraviglioso spettacolo fluviale esemplificata, ecco la
Casa di Svevia (di HOHENSTAUFEN o STAUFEN o VON SCHWABEN) che per circa
due secoli dominò in Europa occidentale e, più ancora, si accampò nella
storia, per quasi metà del sec. XIII, a stupire il mondo col lustro
d’un glorioso splendore dopo la confluenza in essa della stirpe normanna
della Sicilia.
Dalle opache origini feudali e cavalleresche essa assurse in Germania
ed in Italia all’apice della potenza in virtù dell’abilissima attività
politico-diplomatica di Federico I (Barbarossa) e di suo nipote Federico
II (vero stupor mundi) per poi declinare in un mesto tramonto dall’esito
funesto per l’esecuzione capitale (29 ottobre 1268) delittuosamente
decretata dal vincitore Carlo d’Angio, del sedicenne Corradino.
Tutti gli eventi che nella Casata di Svevia si susseguirono dalla designazione
del figlio del BUREN a primo Duca di Svevia (Federico I, + 1103) fino
alla battaglia di Benevento (25 febbraio 1266) ed allo scontro di Tagliacozzo
(23 agosto 1268) sono scritti nella “grande storia” di dominio pubblico
che ha percorso secoli con una bibliografia storiografica e letteraria
sterminata. Dopo quei due ultimi eventi tacque il “mondan romore”: il
culto delle memorie si rifugiò nella “Domus privata” per conservare
solo un umbratile lustro alla discendenza – secondo un destino riservato
a coloro che più non regnano ma sono deposti nel museo della storia
– sì che chiunque vi appartenga possa rispondere alla domanda che fu
già rivolta a Dante da Farinata: “ Chi fuor li maggior tui?”.
Ma non è solo una questione di “lustro”, che di per sé non è che “vana
gloria”, e neppure contrassegno di nobiltà. E’ che quelle memorie sono
come preziosi scrigni destinati a custodire tesori immarcescibili quali
idealità e costumi ispirati ed ancorati alle gloriose imprese degli
antenati.
Furono quelle imprese a conferire splendore, sia pure tra eventi oltremodo
calamitosi, all’ Età di mezzo, tanto disprezzata dai “boriosi” illuministi,
che il radicale antistorico Voltaire aveva reso impietosi nei riguardi
del passato. Non tutto fu notte fonda nel Medio Evo. Già i secoli più
oscuri servirono a macerare un mondo antropologico oltremodo composito
che la lex e la pax di Roma non erano riuscite a ridurre alla convivenza
ed all’unità. Furono i secoli nei quali, “come in una spumeggiante vendemmia”
– ben dice il Poeta – nel tino fervevano, “calpestate e frante”, uve
diverse, i cui succhi si sarebbero trasformati e maturati in “ redolente
vino”. E fu opera del Cristianesimo, che i “razionali” illuministi rimossero
come tenebrosa negazione del viver civile ed al quale poi il romanticismo
tedesco restituì l’onore fino al punto che il miscredente Carducci poeticamente
l’esaltò quale luce ideale squarciante e fugante le tenebre della barbarie.
Al Poeta toscano, rinomato celebratore di italiche memorie, si unì Benedetto
Croce, poco proclive, pel suo ammanto storicistico, a conferire particolare
nobiltà al fenomeno religioso. E tuttavia sul cristianesimo si lasciò
trasportare da un fervore apologetico non inferiore a quello dei primi
Padri della Chiesa: poiché il giudizio ch’egli espresse in Perchè non
possiamo non dirci cristiani (in Critica, IV, 1942, pag. 289) appare
piuttosto come un’entusiastica perorazione, conferendogli solo il valore
di una meditata storicistica descrizione del fenomeno. “In rapporto
alla rivoluzione cristiana, afferma il Croce, tutte le altre rivoluzioni,
tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non
sostengono il confronto, parendo rispetto a lei, particolari e limitate”.
Né la Grecia (pur con la poesia, l’arte, la filosofia, la libertà politica)
né la Roma del Diritto e della sapienza politica le stanno alla pari.
Ciò che il Croce ha così eloquentemente rappresentato in virtù dell’acutissimo
senso della storia e la brillantezza della scrittura che sempre lo hanno
contraddistinto, i membri delle due Casate (la Sveva tedesca e la Normanna
di Sicilia) che s’unirono a fine secolo XII, al pari di due rami d’un
flusso grandioso per gesta e glorie conseguenti, hanno sentito coltivato
perseguito con animo poderoso e la cavalleresca gagliardia dei tempi
che furono i loro, impegnandovi i propri augusti destini.
I discendenti hanno amorosamente fedelmente e diligentemente custodito
e conservato in bell’ordine un patrimonio immenso di memorie, mercè
l’indefettibile e sempre viva coscienza dell’appartenenza ed il medesimo
senso sacro con cui le gentes romane onoravano e veneravano i loro Lari
e Penati.
Il merito massimo è da ascrivere a due augusti membri delle due gloriose
Dinastie (la Sveva e la Normanna): Sua Altezza Imperiale e Reale il
Principe GIOVANNI GIUSEPPE CASPIS HOHENSTAUFEN VON SCHWABEN e Sua Altezza
Imperiale e Reale il Principe Dom ANTONIO FRANCESCO CALABRIA CILENTO
de HAUTEVILLE Principe di Hohenstaufen – Svevia, Principe di Antiochia,
ecc. ecc.
Il PRIMO discendente direttamente da BEATRICE, erede del regno di Borgogna;
la quale andata sposa a Federico I Barbarossa, portò in dote all’Imperatore
svevo quel regno e un figlio naturale, OTTONE detto MEYORATO, che Federico
acquisì alla propria Casa e Dinastia: fu Conte Palatino del Reno e successivamente,
Re di Arles e di Borgogna e Vessillifero dell’Impero. Dal suddetto Ottone
si dipartì il ramo germanico dei CASPIS, il quale si acclimatò (con
tutti i titoli e onori ereditati e altri nel tempo acquisiti) prima
in Austria e poi anche in Italia. Dove, in Bergamo, risiedette, estinguendosi
il 12 dicembre del 1984, con l’ultimo rappresentante del ramo e della
Casa Sveva: il suddetto Principe Giovanni Giuseppe. A suo merito va
la custodia, amorosamente archiviata, ben ordinata e registrata, dell’immensa
mole documentale e araldica proveniente a parte germanica.
A parte italica invece il merito massimo della raccolta e della sistemazione
ordinata e registrata dell’intero patrimonio storico-araldico-cavalleresco
della Casa normanno-sveva è di Sua Altezza Imperiale e Reale il Principe
Dom Antonio Francesco Calabria Cilento de Hauteville Principe di Hohenstaufen
– Svevia, Principe di Antiochia, ecc. ecc., attualmente Capo e rappresentante
dinastico “jure sanguinis” della medesima Casa.
Con atto notarile redatto ed autenticato in Bergamo l’8 dicembre del
1982 Sua Altezza Reale il Principe Giovanni Giuseppe Caspis, “Sovrano
e Capo di Nome e d’Arme della Casa Reale e legale pretendente al Trono
di Svevia” conferiva “diritti, titoli e prerogative di ” Principe Ereditario
e Sovrano di Svevia al Principe Dom Antonio Francesco Calabria Cilento
de Hauteville, il quale pertanto non soltanto ereditava tutto il patrimonio
storico-cavalleresco documentario custodito dal Ramo de Caspis, ma assumeva
altresì jure sanguinis o “per chiamata” la dignità, con le prerogative
e funzioni sovrane, connesse con il GRAN MAGISTERO del MILITARE OSPEDALIERO
ORDINE DINASTICO di “SAN GEREONE”, fondato da Federico Barbarossa nei
pressi di Colonia il 23 aprile del 1187, destinato a supporto logistico
assistenziale dell’Armata tedesca in vista della Terza Crociata.
Solenne e memorabile codesto 8 dicembre 1982, perché esso si accompagna
con l’altra data, di ben 800 anni antecedente (27 gennaio 1186) nella
quale, celebrandosi in Milano le nozze tra Enrico VI di Svevia, figlio
di Federico Barbarossa, e la “gran Costanza”, zia ed erede dell’ultimo
Re normanno di Sicilia, Guglielmo II il buono - zia e nipote di gran
virtù e pietà, sì che Dante li pose entrambi nel suo Paradiso (c. III
vv. 118-20 e c. XX, vv.61-63) – Germania ed Italia si unirono nel medesimo
scettro per settant’anni. Poi la crudezza dei tempi e la non ben intesa
separazione evangelica dei “due poteri” recò secoli di lutti e sciagure
all’intera Europa. Quell’8 dicembre 1984 celebrò la riunificazione sotto
unico scettro, di sparse membra che lo Spirito Provvidente di Dio, vero
“Signore della Storia” volle uniti. E fu altresì giorno fatidico, perché
presago di tempi nuovi: tempi di pace e d’unità politica e spirituale
per l’intera Europa.
Onore e gloria, pertanto, imperituri alla Casa di Svevia, così onusta
di secolari memorie, al Sovrano attuale ed alla Sua Augusta Famiglia,
con l’augurio ch’Essi contribuiscano ad arricchire d’ulteriori benemerenze
una Dinastia che ha già nella Storia un posto oltremodo radioso.
SUA ALTEZZA IMPERIALE E REALE
IL PRINCIPE DOM ANTONIO FRANCESCO CALABRIA
CILENTO de HAUTEVILLE HOHENSTAUFEN SVEVIA

Sua Altezza Imperiale e Reale il Principe Don Antonio Francesco Calabria
Cilento de Hauteville Hohenstaufen Svevia
IMPERIALE E REALE CASA DI SVEVIA
DINASTIA
HOHENSTAUFEN-SCHWABEN
DALLE ORIGINI AI
NOSTRI GIORNI
NOTE STORICHE
Corona del Sacro Romano Impero di Germania

Sacre Insegne Imperiali del Sacro Romano Impero
IMPERIALE E REALE CASA DI SVEVIA
HOHENSTAUFEN-SCHWABEN
I- II
DINASTIA
DINASTIA HOHENSTAUFEN – SCHWABEN

Federico Barbarossa in un'incisione tratta dai "Ritratti di cento capitani illustri", Roma 1602
(Milano, Civica raccolta delle stampe A. Bertarelli)
La
grande Famiglia dinastica tedesca (Svevia) originaria del Württemberg, nel
Giura Svevo,è chiamata anche, particolarmente in Italia, CASA DI SVEVIA e,
in Germania, CASA DI STAUFEN. Alcuni dei suoi membri si succedettero per
oltre un secolo sul Trono Imperiale subentrando alla Casa di Franconia.
La
Casata ebbe origine con FEDERICO di BÜREN o BEUREN (+ 1094), che servì sotto
CORRADO II il Salico ed ENRICO IV. Suo figlio, FEDERICO I di STAUFEN (+
1105), per i servigi resi ad ENRICO IV, ebbe in sposa la figlia dello stesso
Imperatore, AGNESE, che gli portò in dote il DUCATO di SVEVIA (1079); eresse
sul Rahue Alp un castello da cui la Famiglia prese il nome di HOHENSTAUFEN
(altri STAUFEN). Il figlio maggiore FEDERICO II il Guercio (+1147) sposò
Giuditta, sorella di Enrico X il Superbo della Casa dei Guelfi di Baviera.
IL Figlio minore, CORRADO (+1152), ebbe il Ducato di Franconia (1115) e fu
eletto Re di Germania nel 1138. I due fratelli lottarono a lungo contro
l’Imperatore LOTARIO II di Supplinburgo. Quest’ultimo, dopo aver assunto la
dignità Imperiale nel 1125, contendendola a Federico il Guercio, bandì
dall’Impero Corrado (1127) e costrinse gli Hohenstaufen ad umiliarsi alla
Dieta di Bamberga (1135). Corrado, tuttavia, succedette a Lotario (+1137)
nell’Impero con il nome di CORRADO III, ma dovette lottare contro il Duca di
Baviera, Capo della Casa dei Guelfi.
La
Dinastia continuò con il nipote di Corrado III, FEDERICO III di Svevia,
figlio di FEDERICO II, Imperatore dal 1152 al 1190 col nome di FEDERICO I
BARBAROSSA

Ludovico Pagliaghi, I patrizi milanesi davanti a Federico Barbarossa. Incisione ottocentesca
(Milano, Civica raccolta delle stampe A. Bertarelli)
successivamente con i figli
ENRICO VI il Severo o il Crudule,
Re
di Sicilia dal 1194, in quanto marito di COSTANZA d’ALTAVILLA,
Re d’Italia nel 1186,
Imperatore dal 1190 al 1197, e Filippo di Svevia (1208) che proclamato Re
di Germania nel 1198, ebbe il proprio Regno travagliato dalle lotte
contro i Guelfi e fu assassinato da OTTONE di Wittelsbach. A Filippo
successe, dopo aver vinto e spodestato Ottone
IV,

L'Imperatore Federico Barbarossa seduto maestosamente tra i figli
Enrico VI re di Germania e Federico V duca di Svevia
FEDERICO II
RE di Sicilia dal
1198 e
Imperatore dal 1220 al 1250, Re di Gerusalemme dal 1228.

Federico II di Svevia
Con
quest’ultimo Imperatore la fortuna della Dinastia raggiunse l’apogeo. Poi
iniziò il declino: il figlio di Federico II, CORRADO IV fu Imperatore
designato dal 1250 al 1254, mentre sul Trono di Sicilia saliva il
figlio naturale di Federico II, MANFREDI che regnò sul trono di Sicilia dal 1258 al 1266, fu vinto e
ucciso da CARLO D’ANGIO’, presso Benevento, mentre ENZO (+ 1272)

Bologna: Palazzo di Re Enzo (1244-46) - Tomba di Re Enzo in San Domenico
pure figlio naturale di FEDERICO II, fu creato Re di Sardegna,
fu catturato dai Bolognesi nel 1249. Il figlio di Corrado IV, CORRADINO
o CORRADO V, disceso in Italia per rivendicare i diritti del padre, venne
sconfitto a Tagliacozzo e decapitato a Napoli nel 1268 per ordine di Carlo
d’Angiò. La
sua morte segnò la fine della gloriosa dinastia.
La
figlia di MANFREDI, COSTANZA, andò sposa a PIETRO III il Grande Re d’Aragona
(1262), al quale trasmise i diritti degli HOHENSTAUFEN sulla Sicilia. Tale
Dinastia, detta Terza Casa d’Aragona, II di Svevia - Dinastia Catalana,
termina con Martino il Giovane (1392-1409).

Federico II riceve un'ambasceria orientale. Ultimo a destra è Ermanno di
Saltz,
il gran maestro "Teotonicorum"

Federico Barbarossa in un manoscritto Pagina della Bibbia di Manfredi
bavarese del secolo XII

Tomba di Enrico VI
Tomba dell'Imperatrice Costanza
Cattedrale di
Palermo
Cattedrale di Palermo

Tomba dell'Imperatore Federico II - Cattedrale di Palermo
Corona dell'Imperatrice Costanza - Cattedrale di Palermo

Sarcofago di Costanza di Aragona I° moglie di Federico II - Cattedrale di Palermo

Privilegio di Federico II
a Ottocaro I di Boemia
Imperatrice Costanza d'Altavilla,
madre di Federico II
Prima Sede
Magistrale in Italia dell'Ordine di Santa Maria della Valle di Josaphat Badia
di Messina detta la "Badiazza"
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